Temperatura cerebrale nei giovani
con disturbo bipolare
GIOVANNA
REZZONI
NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 25 marzo
2023.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Ritorniamo a occuparci del disturbo bipolare
per recensire uno studio che offre una nuova prospettiva per la valutazione e,
in un certo senso, apre una finestra sul regime funzionale cerebrale nel corso
di un disturbo psichiatrico di notevole rilievo clinico.
Non trovo un modo migliore per introdurre l’argomento
che riproporre l’introduzione che tanto successo ha riscosso lo scorso anno.
Areteo, un medico della Cappadocia, un regno dell’Asia
Minore che faceva parte dell’Impero Romano, verso la fine del primo secolo d.C.[1] descrisse
pazienti affetti da un male della psiche che li portava periodicamente all’abbattimento
e all’esaltazione; le sue descrizioni della sintomatologia sono così precise,
accurate e dettagliate che Silvano Arieti, nel suo celebre trattato di
psichiatria dell’American Psychiatric Association, le citava senza ombra
di dubbio come il primo resoconto medico della psicosi maniaco-depressiva della
storia. Areteo riconobbe l’esistenza di un rapporto tra le due fasi di quello
che oggi chiamiamo disturbo bipolare, e le descrisse come sintomatologia della
stessa malattia mentale. Osservò che in età giovanile i pazienti sono più
inclini alle manifestazioni di eccitazione, con rapidità di pensiero, azione ed
eloquio, mentre nell’età senile tendono maggiormente alla depressione, che all’epoca
si attribuiva, seguendo Ippocrate, ad eccesso dell’umore nero, melania chole, da
cui “melancolia”, diventato poi in italiano malinconia. Areteo sosteneva
che la mania non è sempre una reazione alla fase depressiva, ma può aversi come
espressione propria della malattia. Ecco cosa scriveva in proposito Silvano
Arieti nel 1966: “Sembra quindi che Areteo abbia anticipato di almeno diciassette
secoli Emil Kraepelin. In un certo senso andò ancora più lontano di lui, perché
ritenne che le remissioni spontanee non dessero affidamento. Il carattere
intermittente della malattia gli era ben chiaro. Descrisse anche molto bene gli
atteggiamenti religiosi, con il senso di colpa e di autosacrificio del
melanconico e il comportamento gaio e iperattivo del maniacale. Riferì come un
grave caso di melanconia, su cui molti medici erano pessimisti, fosse guarito
completamente dopo che il paziente si era innamorato”[2].
Dopo il lungo periodo di focalizzazione sugli
effetti dell’ambiente, da parte della psichiatria della seconda metà del
Novecento, che chiamava “reazioni” tutti i disturbi psichiatrici,
distinguendoli in reazioni maggiori (psicosi) e reazioni minori (nevrosi),
oggi siamo ritornati a supporre come Areteo dei fenomeni intrinseci del
cervello all’origine del disturbo bipolare e, sebbene numerose varianti geniche
siano state associate alla possibilità di sviluppare malattia, ancora
poco si conosce dei processi e dei meccanismi che determinano queste
oscillazioni del regime complessivo delle attività cerebrali alla base di ciò
che chiamiamo “mente”[3].
Recentemente si sono andate accumulando evidenze in
adulti e giovani affetti da disturbo bipolare di alterazioni del metabolismo
energetico mitocondriale e del flusso ematico cerebrale,
verosimilmente in rapporto allo stato di attivazione di circuiti e reti
neuroniche dipendente dalla patologia. La termoregolazione dell’encefalo si
basa sull’equilibrio tra metabolismo produttore di calore e meccanismi intrinseci
cerebrali di dissipazione del calore stesso, che includono il ruolo
fondamentale del flusso ematico cerebrale. Yi Zou e
colleghi di un gruppo multidisciplinare canadese coordinato da Benjamin I.
Goldstein hanno allestito uno studio basato sul rilievo della temperatura ricavata
dalla spettroscopia in risonanza magnetica nucleare di due specifiche regioni
cerebrali in giovani bipolari, allo scopo di accertarne il rapporto col flusso
ematico cerebrale e la gravità del disturbo e dei sintomi principali.
(Zou
Y. et al., Brain Temperature in Youth Bipolar Disorder Using a Novel
Magnetic Resonance Imaging Approach: A Proof-of-concept Study. Current Neuropharmacology – Epub ahead of print doi: 10.2174/1570159X21666230322090754, March 22, 2023).
La provenienza degli autori è la seguente: Department of Pharmacology, University of Toronto,
Toronto, Ontario (Canada); Centre for Youth Bipolar Disorder, Centre for
Addiction and Mental Health, Toronto, Ontario (Canada); Department of Medical
Imaging, Sunnybrook Health Sciences Centre, Toronto, Ontario (Canada); Physical
Sciences Platform, Sunnybrook Research Institute, Toronto, Ontario (Canada); Department
of Psychiatry, University of Toronto, Toronto, Ontario (Canada); Department of Medical
Biophysics, University of Toronto, Toronto, Ontario (Canada); Heart and Stroke
Foundation, Sunnybrook Research Institute, Toronto, Ontario (Canada); Hurvitz Brain Sciences Program, Sunnybrook Research
Institute, Toronto, Ontario (Canada).
Prima di riassumere i contenuti dello studio canadese, riprendiamo i
cenni storici sul disturbo bipolare.
Le acquisizioni di Areteo furono presto ignorate e
poi dimenticate, durante i secoli in cui molti disturbi mentali furono demedicalizzati
e attribuiti a possessione demoniaca o a turbamento spirituale. Cameron, in una
trattazione classica della storia del disturbo bipolare, classificato tra le
psicosi funzionali nel secolo scorso, riporta che il carattere alternante
maniacale e depressivo era stato rilevato da Bonet nel 1684, da Schacht nel 1747 e Herschel nel 1768[4]. Ma
soltanto con la nascita della psichiatria contemporanea e, in particolare, in
Francia con Falret nel 1851 si avrà una nuova descrizione del disturbo con il
suo carattere intermittente e ciclico. Kahlbaum tentò
di ricondurre melanconia e mania a due stati di vesania tipica nel 1863,
ma il tentativo fu bocciato dai maggiori psichiatri del tempo che, in massima
parte, attendevano gli esiti delle osservazioni del grande nosografista
Kraepelin. Quest’ultimo, seguendo Falret e Baillarger, adottò i loro criteri
nell’analisi di molti pazienti affetti dal disturbo periodico e, infine, elaborò
il concetto di psicosi maniaco-depressiva, come una sindrome che includeva la
mania semplice, molti casi di melanconia semplice e la follia circolare o
periodica. Da notare che Kraepelin studiò per molto tempo questo disturbo, ma
solo nella sesta edizione del suo celebre Lehrbuch
der Psychiatrie (1899) – che costituiva la norma
nosografica in Europa – usò per la prima volta la definizione di “follia
maniaco-depressiva” e solo nell’ottava edizione (1913) sviluppò la concezione
che rimase dominante nella clinica psichiatrica fino agli anni Ottanta.
Non è superfluo ricordare perché oltre ottanta anni
dopo la scelta di Kraepelin, la psichiatria in America e in Europa conserva la
categoria delle psicosi per il disturbo bipolare: “Il termine psicosi,
però, non indica solo una gravità reale o potenziale della malattia, ma indica
anche il fatto che il modo psicopatologico di vivere è, in un certo senso,
accettato dal paziente”[5]. È
dunque posta in questione, anche se indirettamente, la “coscienza di malattia”.
In altre parole, mentre nei disturbi d’ansia, a quel tempo definiti “nevrosi”,
la persona affetta riconosce l’influenza dello stato ansioso sui propri
pensieri, nel bipolare spesso si assiste all’assunzione da parte del paziente
di prospettive, punti di vista e atteggiamenti mentali indotti dallo stato
mentale depressivo o di eccitazione maniacale, come propri. Oggi, che si tende
a declinare le psicosi prioritariamente in termini di deliri e allucinazioni,
non si ritiene sufficiente questo sintomo per parlare di psicosi; tuttavia,
bisognerebbe ricordare la presenza di questo tratto caratteristico del disturbo
bipolare, spesso ignorato nell’attuale pratica clinica[6].
Questi cenni storici introducono a una questione di notevole
importanza: dal tempo di Areteo a oggi, se si esclude la distinzione in due livelli
di impegno clinico (disturbo bipolare I e II), non sarebbe
cambiato molto se non si fosse compreso un aspetto sottolineato spesso dalla
nostra scuola neuroscientifica, ossia che ai due poli dell’umore corrispondono due
regimi funzionali differenti di tutto l’organismo. È molto evidente la
differenza se si prende in considerazione la fisiologia del sistema autonomo o
se si studiano i profili neuroendocrinologici e neuroimmunologici[7].
Proprio la questione del regime funzionale
differente suggerisce lo studio attraverso il rilievo della temperatura.
Per gli approcci recenti allo studio del disturbo bipolare si suggerisce
la lettura del già citato articolo dell’ottobre scorso[8] in cui si riportano stralci
di osservazioni ragionate con numerose nozioni e spunti critici, tenendo
presente anche l’altro articolo del 26 marzo 2022[9].
Torniamo ora al lavoro di Yi Zou, Benjamin I. Goldstein e colleghi.
Lo studio è stato condotto su 25 volontari di età
compresa tra i 16 e i 18 anni, 13 erano affetti da disturbo bipolare e 12 erano
indenni da disturbi psichiatrici e fungevano da gruppo di controllo. Sono stati
rilevati i dati mediante spettroscopia in risonanza magnetica nucleare per
ottenere la temperatura della corteccia anteriore del giro del cingolo (ACC)
di sinistra e del precuneo (PC) di sinistra. Le stime regionali del flusso
ematico cerebrale (CBF) sono state ottenute mediante ASLI (arterial spin labeling
imaging). Le analisi hanno impiegato modelli di regressione lineare
generale, covarianti per età, sesso e trattamenti psichiatrici.
La temperatura è risultata significativamente più
alta nel precuneo dei giovani affetti da disturbo bipolare rispetto ai
ragazzi non affetti del gruppo di controllo.
Nei bipolari una più elevata ratio temperatura/CBF
era significativamente associata a una maggiore gravità di sintomi depressivi,
sia per la ACC che per il PC.
Le analisi che hanno valutato i rapporti tra la sola
temperatura cerebrale delle due regioni esaminate o il solo flusso ematico
cerebrale e il punteggio indicante la gravità della depressione, non hanno
rilevato alcuna associazione significativa né nella ACC, né nel PC.
In conclusione, lo studio presenta l’evidenza
preliminare di un aumento di temperatura cerebrale nei giovani affetti da
disturbo bipolare, in cui la ridotta capacità di termoregolazione dell’encefalo
sembra essere associata alla gravità della sintomatologia depressiva. Dai dati si
deduce anche che il rilievo congiunto di temperatura e flusso ematico cerebrale
può fornire informazioni che non si possono dedurre dalla misura dei singoli
parametri.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanna
Rezzoni
BM&L-25 marzo 2023
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di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience,
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16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica
e culturale non-profit.
[1] Secondo Zilboorg
e Cumston, altri autori lo collocano già nel secondo
secolo d.C.; secondo le notizie più antiche Areteo visse prevalentemente a Roma,
nella capitale dell’impero.
[2] Silvano Arieti (editor-in-chief), Manuale di Psichiatria (in 3 volumi),
Vol. I, p. 585, Boringhieri, Torino 1985.
[3] Note e Notizie 26-03-22 Nel disturbo
bipolare è alterata la trascrizione sinaptica e neuroimmunitaria.
[4] Cameron N., “The Functional Psychoses” in Hunt J. McV., Personality and Behavior Disorders, vol. II, Ronald, New York 1944.
[5] Silvano Arieti (a cura di), Manuale
di Psichiatria in 3 voll.: vol. I, p. 583, Boringhieri, Torino 1985.
[6] Personalmente concordo con l’orientamento
di diagnosticare il “disturbo” fino a prova del contrario, ossia fino a quando
non compaiono sintomi diacritici di psicosi. Ho visto numerosi psicotici bipolari,
ma la loro percentuale rispetto agli affetti dal disturbo non psicotici che ho
avuto in trattamento rimane bassa. È opportuno, a ulteriore chiarimento della prospettiva
assunta dalla psichiatria classica di fine Novecento, sottolineare che la
categoria in cui si faceva rientrare il disturbo bipolare maniaco-depressivo
era quella delle “psicosi funzionali”, dunque una categoria diversa da quella
della paranoia e della schizofrenia.
[7] Note e Notizie 15-10-22 Gravità
del disturbo bipolare rivelata dalla disfunzione sessuale.
[8] Note e Notizie 15-10-22 Gravità del disturbo bipolare rivelata dalla disfunzione sessuale.
[9] Note e Notizie 26-03-22 Nel disturbo
bipolare è alterata la trascrizione sinaptica e neuroimmunitaria.